La chiamata alle armi e la sopravvivenza della civiltà
di Amedeo Lucente
Nessuno credeva fosse possibile e nemmeno immaginabile, ma la chiamata alle armi è ormai improrogabile, una questione di sopravvivenza di civiltà per il Vecchio Continente. Così le autorità europee, profondamente scosse ed attonite dalla brusca rottura avvenuta in diretta televisiva tra Trump e Zelensky, sembrano abbiano di tutta fretta deciso di intervenire per rinforzare la difesa europea mettendo sul piatto degli investimenti ben 800 miliardi di euro, di cui 150 per finalità militari comuni.
Somma da rastrellare tra i singoli stati aderenti all’unione secondo il loro PIL; unica concessione è che questi fondi non verranno conteggiati nel pareggio di bilancio dei singoli stati.
Mentre la necessità di provvedere ad una comune difesa autonoma dagli US era ormai una consapevolezza diffusa da tempo, da tutti condivisa, recepita dai vertici dei singoli stati come non più prorogabile e rinviabile, nessuno pensava che la frattura con gli storici alleati americani si verificasse in così breve tempo. Le modalità mediatiche si sono concretizzate nello spettacolo televisivo al quale tutti con stupore abbiamo assistito, per molti versi sconvolgente, fuori da ogni canone diplomatico, sicuramente fuori dalla buona e civile convivenza.
Hanno fatto prendere coscienza che qualcosa cambiava negli equilibri mondiali. L’imprevedibilità di Trump e la sua volubilità politica hanno destato e destano sconcerto. Il suo “entourage” non è da meno. Con il Vicepresidente James David Vance, di fatto il vero “falco” della nuova amministrazione Trump, e il magnate Elon Musk, con il suo enorme e smisurato potere economico e satellitare, le scelte della politica della Casa Bianca sembrano così determinate, ormai definitivamente stabilite. La politica dei dazi ha confermato all’Europa che le relazioni con gli US sono cambiate, ha dato la conferma del nuovo imperialismo non solo economico che Trump vuole imprimere alla politica degli US.
Il riarmo annunciato da parte dell’Europa ci riporta agli anni bui precedenti la Seconda Guerra Mondiale, alla mobilitazione che gli stati europei hanno vissuto prima che il grande conflitto, con tutta la sua devastante distruzione, interessasse definitivamente tutto il Vecchio Continente e molta parte dell’intero pianeta.
Dopo la tempesta mediatica andata in diretta mondovisione dallo studio Ovale, Ursula von der Leyen, bypassando il Parlamento europeo, ha puntato ad un accordo con i capi di Stato e di Governo dell’UE. La proposta di stanziare 800 miliardi per rafforzare la difesa europea, senza lunghe discussioni o veti istituzionali, è stata di tutta fretta approvata.
L’Europa cerca così di rispondere all’alzata di scudi dell’istrionico Presidente Trump, che fa seguire al pensiero l’azione con una raffica di decreti esecutivi firmati ad oras, sempre in diretta televisiva, senza preoccupazione di eventuali conseguenze diplomatiche. Ora che l’America si ritira dalla difesa militare dell’Europa e dal continuare ad inviare armamenti all’Ucraina, il Vecchio Contenente si è accorto improvvisamente della sua debolezza, dell’inconsistenza militare, dell’incapacità di poter resistere ad un eventuale attacco russo sul suo territorio, perché la Russia è ora il nuovo nemico.
Inutile descrivere le molte incongruenze strategiche che l’Europa ha rispetto agli eserciti di Russia e US in testa. I 27 paesi dell’Unione europea hanno armamenti differenti, continenti in uomini e disponibilità di mezzi molto eterogenei. Questa diversità del tipo di armamenti limita l’interscambiabilità, aumenta le difficoltà di approvvigionamento, ostacola una rapida sostituibilità. La mancanza di coordinazione tra gli Stati e di un comando unico completano la fragilità militare della difesa europea.
Ogni Nazione provvede a se stessa. Il nuovo piano di riarmo, ReArm Europe, ora mascherato dal nuovo neologismo “Readiness 2030”, approvato in prima istanza il 6 marzo dal Consiglio europeo non ha intenzione di omogenizzare la spesa che continuerà ad essere differenziata. Così continueremo ad avere diversi modelli di carri armati, la Francia il Leclerc e il AMX-30, la Germania il Leopard 2, l’Inghilterra il Challenger 2, l’Italia l’Ariete (150 unità, non tutte perfettamente efficienti), la Polonia il PT-91, come diversi modelli di veicoli da combattimento per la fanteria. Questa eterogeneità dei mezzi militari è una delle tante debolezze strategiche europee, una fragilità che per ora sembra insormontabile, purtroppo determinante in un eventuale conflitto.
In un eventuale scenario di belligeranza non avere immediatamente a disposizione pezzi di ricambio può far volgere velocemente le sorti di una guerra, trasformare una possibile vittoria in una sicura sconfitta. I ricambi sono essenziali per la logistica; avere sempre armamenti efficienti è fondamentale in una guerra. Come per le armi terrestri la stessa situazione vale per l’aviazione e la marina.
L’amministrazione Trump spinge per un disimpegno degli US dalla Nato. La NATO, Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord, alleanza militare internazionale composta da 32 Stati dell’Europa, Nord America e Vicino Oriente, venne istituita il 4 aprile 1949. L'articolo cinque del trattato, sottoscritto dalle Nazioni partecipanti, afferma che un eventuale attacco armato ad uno degli Stati membri sarà considerato contro tutti gli altri membri che interverranno, se necessario e verificate le circostanze, con le proprie forze armate.
L’Ucraina aspira ad entrare nella NATO. Questa richiesta caldeggiata da molti Stati europei è vista dalla Russia come un pericolo contro la sua integrità territoriale. E’ una delle cause che ha scatenato l’invasione russa. Putin richiede esplicitamente di escludere per sempre questa possibilità per sedersi al tavolo delle trattative, per acconsentire anche ad una momentanea tregua.
Ora più che mai la prova di forza che ha sempre preceduto la discesa in guerra sembra essere alla massima espressione, sembra assumere il carattere della lotta tra due contendenti, o gruppi di contendenti, che prima di scontrarsi mostrano i muscoli e dicono: “vediamo chi è il più forte”. Come non condividere la frase di Axel Oxenstierna, illustre politico svedese del Seicento, quando a suo figlio che stava per assolvere ad un alto incarico ammonendolo esclamò:”Videbis, fili mi, quam parva sapientia regitur mundis” !
Ma qui non si tratta della lotta tra due gladiatori o tra due stati, ma di uno scontro di civiltà, del ritorno alla barbarie, della scelta tra la belligeranza e la pacifica convivenza dei popoli. Io scelgo la seconda, e voi?

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