Dall’aquila testabianca alla firma di cento decreti esecutivi
Chi ha visto l’insediamento di Ronald Trump, 47esimo Presidente degli US dopo esserne stato il 45esimo, non potrà non aver notato l’enorme differenza con le rappresentazioni europee per eventi celebrativi simili. Il supporto culturale per una cerimonia di così grande importanza, che coinvolge tutta una nazione e segna un avvenimento da ricordare, un passaggio legislativo e istituzionale di rilevanza, si manifesta e si caratterizza con immagini e simboli che diventano inevitabilmente nell’immaginario comune del tutto emblematici.
I passaggi istituzionali sono rappresentazioni le più elevate e significative di una Nazione, costituiscono una fotografia del costume culturale di uno Stato, del suo popolo, dei principi costituzionali che sono a fondamento della convivenza civile, per i quali fermamente si crede. Tali passaggi istituzionali scandiscono la vita di una Nazione, sia essa una Repubblica o una Monarchia, costituiscono la base, i pilastri di uno Stato, sono le occasioni nelle quali ci si sente uniti come popolo e svelano, in modo eclatante, concretizzandosi plasticamente in riti e cerimoniali, l’esaltazione e l’omaggio verso quei valori immortali dai quali si trae origine, che hanno ispirato i principi fondanti da tutti condivisi.
In Europa, in tali eccezionali occasioni, la sobrietà è la scelta obbligata, naturale. Il protocollo da seguire una regola. Le celebrazioni istituzionali, proprio perché eventi straordinari, hanno sempre norme di comportamento stabilite, un rigido cerimoniale da rispettare. La carica istituzionale, per la valenza che rappresenta, prevale e sovrasta sempre per importanza di gran lunga la personalità che ne viene investita, che ne assume in quel momento il privilegio di esserne testimone, e questo vale nella nomina di un Presidente di Stato, come del Re di un Regno, o per il Presidente di un Consesso internazionale. L’autorevolezza e l’autonomia dei differenti poteri istituzionali presenti, invitati di prassi a questi eventi celebrativi, assumono un ruolo paritetico, mai subalterno per prestigio e importanza alla carica che viene celebrata e proclamata.
Le personalità invitate in rappresentanza delle alte istituzioni mantengono sempre un contegno di altissimo profilo; mai nessuna sottomissione si può scorgere verso chi, in quel momento, viene investita dell’alta onorificenza di cui si celebra solennemente l’insediamento. Gli applausi sono una consuetudine di buon costume; concludono di solito la fine dell’investitura. Eventuali standing ovation sono rari gesti di consenso, riservate a momenti particolarmente esaltanti, di notevole valore simbolico. Nell’insediamento di Trump al Campidoglio abbiamo assistito ad un susseguirsi interminabile di applausi ad ogni passaggio del discorso del neo-Presidente; le standing ovation una ritualità tante volte ripetute da diminuirne l’efficacia, la valenza simbolica, per diventare gesto condiviso di compiacimento, di supino asservimento.
I toni di arringa utilizzati da Trump nel discorso di insediamento del tutto simili a quelli della sua campagna elettorale, durante il quale ha con disinvoltura affermato di essere scampato divinamente all’attentato del 13 luglio per salvare l’America, per riportare una nuova era dell’oro, sono diventati del tutto irriguardosi quando si è riferito all’operato del suo predecessore Joe Biden presente alla cerimonia assumendo, a tratti, i toni della vera maleducazione, della voluta mortificazione. Ad un passaggio di consegna istituzionale, in qualsiasi paese civile di solide tradizioni democratiche, il neo-eletto ad incarico di così apicale prestigio non avrebbe mai utilizzato un linguaggio così umiliante verso il suo predecessore, almeno per omaggio alla continuità istituzionale. Sono stati usati invece toni di vibrante veemenza, dissacratori verso chi passava il testimone, sul quale è stata riversata ogni umiliante contumelia. Nessun galateo è stato seguito, nemmeno il più basilare ed essenziale. Si è oltrepassato ogni immaginaria maleducazione con plateale sconcezza.
Il rituale balletto messo in scena da Trump inoltre, se poteva essere di qualche attrazione e ricevere consensi di simpatia nei comizi elettorali, riproporlo in un’occasione così istituzionale come l’insediamento presidenziale non è stato di certo di stile. E’ questione di scelte culturali, di principi etici personali si può obbiettare. Certamente. Ma quanto di quelle pantomime sono invece frutto del sentimento radicato di un popolo, di una Nazione? Sono solo testimonianza dell’esuberanza di Trump? Qualcuno può immaginare qualcosa di simile negli Stati europei, in Inghilterra come in Francia, in Spagna come in Italia?
Per ultimo la firma dei cento decreti esecutivi. L’autorità di indire leggi immediatamente esecutive senza passaggio parlamentare è sancito dall'articolo II della Costituzione americana. Gli ordini esecutivi rimangono in vigore se non annullati, abrogati, bloccati o revocati dall’ordine giudiziario o dal Parlamento. E’ una prerogativa costituzionale discutibile ma legale. La rappresentazione che Trump ne ha fatto tuttavia è stata una manifestazione del tutto insolita nella storia degli US. Un’esibizione di forza, di potere del nuovo Presidente, di capacità di agire, di risolvere con una firma i problemi della Nazione, una prestazione folgorante, muscolare. Questa possibilità, consentita dalla Costituzione statunitense, è stata sempre utilizzata con parsimonia ed riservatezza dai precedenti presidenti, mai con spettacolarizzazione a favore di telecamere. Il personaggio Trump prima con l’aquila testabianca sulla mano, ora con la firma dei cento decreti legislativi, si alimenta di questi iconici atteggiamenti goliardici, di queste messe in scena tanto plateali quanto caricaturali.
Al termine di tutta la cerimonia teletrasmessa in mondovisione resti attonito, con il pensiero smarrito tra la perplessità e il dubbio, tra lo sconcerto e l’amara presa di coscienza del livello attuale della politica negli US. Se questi sono i valori portati sempre come modello di democrazia, emblema da guardare ed emulare, ne resto smarrito, umanamente e moralmente mortificato. E’ proprio vero: basta un gesto per qualificare una persona ed una cerimonia di stato per rappresentare il livello culturale di una nazione. E se la nazione in questione è la più potente del pianeta la preoccupazione aumenta, il turbamento diventa incubo non solo per il presente ma anche per il futuro della democrazia nel mondo.
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